Effe café

Feminismos desde el cafè

Per il ventennale del Progetto Tatawelo, nato nel 2003 per sostenere l’autonomia delle comunità zapatiste del Chiapas (Messico), abbiamo voluto creare questo pacchetto di caffè, per dare continuità concreta al rapporto diretto e partecipato con chi lo coltiva, aspetto che caratterizza da sempre l’azione della nostra organizzazione.
Bere questo caffè vuol dire essere parte di un “altro mondo possibile” e di un mercato più giusto in cui economia ed etica camminano insieme.

Con l’ ”Effe Café”, intendiamo dare visibilità ai trascorsi culturali e sociopolitici di buona parte delle socie di Tatawelo, per tener viva la memoria del patrimonio di idee e lotte del femminismo pensate e sviluppatesi in occidente dagli anni ’70 a oggi, tenendo nel contempo conto su che cosa e su come si muove, a partire dagli anni 2000, nella fertile società civile femminista dei popoli originari d’America.

I riferimenti ideologici sono la rivista “EFFE”, mensile di controinformazione al femminile di quel periodo, ed il libro “Femminismo di Abya Yala – le idee e proposte delle donne indigene dei 607 popoli di Nostra America”, scritto da Francesca Gargallo, pubblicato negli anni 2012-17.

L’obiettivo è guardare al futuro, basandosi però su quanto fatto in precedenza, per fare in modo che l’autodeterminazione delle donne vada oltre la (presunta) parità dei diritti e della pari opportunità socioeconomica, affinché si sviluppi una vera azione culturale di base che coinvolga tutti, donne e uomini, senza la quale la celebrazione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”, istituita dalle Nazioni Unite al 25 novembre 1999, continuerà ad essere una ricorrenza di immagine, di fatto poco influente per modificare nel profondo la logica che le donne debbano essere complementari ai bisogni dell’uomo e del sistema potere. Logica che, in sostanza, giustifica, in quanto pensiero dominante, la violenza contro le donne, fino all’estremo del femminicidio, oggi come ieri.

Tatawelo si muove da sempre affinché alle parole seguano dei fatti concreti, così ha impostato la produzione di questo pacchetto di caffè per sostenere il lavoro del gruppo di donne coltivatrici, conosciute personalmente nel novembre 2022, della Cooperativa Asobagri, a Puente Alto, Barillas, Huehuetenango, Guatemala. Queste donne sono ritornate alle loro terre con tanta difficoltà, dopo aver vissuto l’atrocità del massacro della propria comunità, luglio 1982, per mano dell’esercito del dittatore Rios Montt, i cui carnefici sono rimasti impuniti. Nonostante le cicatrici che si portano addosso, con una volontà eroica e senza risorse, queste donne hanno continuato a coltivare caffè in agroforesta. Unite tra di loro per il bene comune e per dare speranza ai loro figli, hanno trovato la forza per andare avanti entrando sin dall’inizio a far parte della cooperativa. Questo nostro sostegno diretto si esplicita attraverso l’acquisto equosolidale del loro caffè verde, comprensivo della Quota Progetto, da mettere a disposizione per le loro necessità.

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Il riferimento temporale

Il 2023 è l’anno del ventennale del Progetto Tatawelo, pensato ed impostato dal nucleo informale originario, i cui componenti appartenevano a diverse organizzazioni dell’economia solidale italiana, la cui sinergia ha permesso i primi passi dell’attività di gestione della filiera del caffè, prodotto dai contadini delle comunità indigene zapatiste del Chiapas -Messico. Passando dalla costituzione in Associazione (ottobre 2005), ente no profit “non riconosciuto”, arrivando fino alla trasformazione giuridica in Società Cooperativa Impresa Sociale (gennaio 2021), quell’attività è stata, ed è ancora, gestita in continuità ideologica e concreta di quel nucleo originario, mantenendo gli stessi principi ed obiettivi di allora, che puntano a dare autonomia gestionale ed economica alle cooperative dei cafetaleros, inserite in determinati contesti ambientali e politici, a difesa e mantenimento dell’identità indigena delle proprie comunità. Dalle dinamiche collettive dei popoli indigeni abbiamo tutti da imparare, come dalla gestione della terra e dal loro legame con gli ecosistemi circostanti, per ribadire al mondo l’urgenza di battersi per cambiare il modo in cui funziona il nostro sistema globale, con lo scopo di raggiungere una società più equa e per invertire la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico.

Nel 2015 abbiamo celebrato il decennale dell’Associazione con la produzione del “Café Caracolito”, al fine di sostenere ulteriormente i produttori, quest’anno, in occasione del ventennale del Progetto, abbiamo prodotto l’“Effe Café”. Questa nuova tipologia di caffè torrefatto utilizza il caffè verde delle donne di Puente Alto della Cooperativa Asobagri, in Barillas, Huehuetenengo, Guatemala, che abbiamo voluto conoscere personalmente, come da sempre facciamo per consolidare i rapporti diretti con i produttori, condividerne le realtà e poterle poi trasmettere ai soci consumatori, in ottemperanza del nostro slogan “sai cosa c’è dietro al caffè che bevi?”.

Il progetto e luogo di origine

Il 7 luglio 1982 nella comunità di Puente Alto in Guatemala per mano dell’esercito del dittatore Rios Montt venivano uccisi 365 abitanti. Quando il 10 novembre 2022 abbiamo deciso di salire da loro per una visita avevamo già letto molto di questo fatto, ma era la prima volta che sentivamo dal racconto dei familiari dei sopravvissuti il modo in cui hanno affrontato una simile atrocità. Quel sanguinario 7 luglio le persone di tutta la comunità erano state chiamate ad assistere a un’assemblea molto importante, i soldati erano saliti giorni prima dicendo che avrebbero fatto regali ai bambini e che era necessaria la partecipazione di tutti, un espediente utile al comando militare di zona che aveva deciso di annientare la comunità, “sradicandola fino alla radice”. Tutte le persone si erano quindi radunate nella chiesa, dove i carnefici hanno individuato le donne di età inferiore ai diciassette anni violentandole, giustiziando tutte le altre usando mitragliatrici e granate, bruciando poi il tempio e le poche che sono riuscite a scappare sono state catturate con una rete e a loro volta uccise.

Di tutta la comunità si sono salvati solo in 35, la maggior parte donne. Il ritorno alle loro terre è stato molto difficile, anche perché persisteva un clima di grande paura, tanto da organizzare anche una vigilanza comunitaria essendo i carnefici rimasti impuniti. Si sarebbe pensato che lo Stato, caduta la dittatura, avrebbe almeno riconosciuto il massacro elargendo comunque le solite briciole di aiuto ai sopravvissuti, ma non è stato così e tutta la storia è stata dimenticata. Quarant’anni dopo, con risorse proprie, la comunità riesce a garantire un minimo d’accesso all’energia elettrica, all’acqua che è presa dalle fonti locali e la strada è mantenuta aperta dagli stessi abitanti. Nonostante le cicatrici che si portano addosso, con una volontà eroica e senza risorse, queste donne hanno continuato a coltivare caffè in agroforesta. Unite tra loro per il bene comune e per dare una speranza ai loro figli,  hanno trovato la forza per andare avanti entrando sin dall’inizio a far parte di Asobagri, diventando il motore del cambiamento nella cooperativa. Con altre socie delle comunità vicine hanno creato una linea di caffe torrefatto per il mercato interno che si chiama Dueñas (le patrone), insieme a loro produrremo l’Effe Café, fedeli al nostro motto di “seminare raccogliere e distribuire non solo chicchi di caffè ma di giustizia dignità uguaglianza e autonomia”. (Café Femenino Asobagri)

Il riferimento di pensiero A

Il primo riferimento è stato il trascorso politico di molte delle socie Tatawelo, legato al movimento femminista degli anni Settanta, in particolare per quel che ha rappresentato la rivista EFFE, nata nel febbraio 1973 come settimanale, poi mensile, di controinformazione al femminile, di fatto la prima rivista italiana di attualità e cultura legata al movimento femminista di quel periodo, che ha percorso la strada della completa autogestione politica e operativa, concludendo la sua straordinaria “stagione” nel dicembre 1982. Tutti gli articoli e le immagini pubblicate negli 84 numeri della rivista, sono consultabili nell’archivio on-line (effe rivista femminista), che è stato concepito dalle protagoniste del progetto «per tener viva la memoria del patrimonio di idee e lotte del femminismo per i diritti delle donne e per la realizzazione di un mondo migliore – di cui le/i giovani hanno spesso una visione distorta – fornendo documentazione ancora di grande attualità».

Questo con l’intenzione che ci si possa occupare «dei diritti delle donne e della condizione femminile oggi, partendo però dal pensiero dei collettivi e dei gruppi di autocoscienza degli anni ’70, per promuovere nuove iniziative di riflessione e di lotta. Non solo perché non è vero che le donne abbiano già vinto le loro battaglie per la parità. O perché il “pensiero delle donne”, il loro modo di guardare alla società attraverso il prisma della differenza di genere, si sta rivelando un metodo prezioso per capire la società e i suoi cambiamenti, utile a tutti/e, uomini e donne. Ma soprattutto perché c’è ancor più bisogno di un pensiero diverso, soprattutto in un momento di crisi economica globale con il suo impatto negativo sulle giovani generazioni, di divario sempre maggiore tra ricchi e poveri, di religioni oppressive, di terrorismo dilagante, di peggioramento del clima…».

Il riferimento di pensiero B

L’altro importante riferimento è ricordare il pensiero di Francesca Gargallo (Roma, 1956 – Ciudad de México, 2022), una tra le maggiori teoriche ed attiviste del femminismo latinoamericano. Nel suo libro Feminismos desde Abya Yala ( antico nome che identifica l’attuale America Latina), “Idee e proposte delle donne indigene dei 607 popoli di nostra America”, pubblicato negli anni 2012-17, l’autrice riporta un dialogo vissuto sul campo, con le donne che hanno costruito, dalla loro realtà nelle diverse comunità indigene del continente latinoamericano, un’idea sul modo di essere donna e sul ruolo politico, culturale, etico ed educativo del proprio valore sociale, un primo passo verso l’ascolto di voci che emergono da sistemi politici e teorie della conoscenza non occidentali e da femministe le cui lingue e sistemi di genere non sono quelli imposti dalla colonizzazione cristiana, spagnola e lusitana risalenti a più di cinque secoli fa. (v. Federica Tomasello)

La descrizione di diversi casi di esperienze di femminismo comunitario, femminismo indigeno, eco-femminismo, femminismo anti-razzista nei vari paesi del continente, è altro motivo per il quale questo libro rappresenta una fonte preziosa di informazioni su che cosa e su come si muove nella fertile società civile femminista dei popoli originari d’America, Abya Yala. Inoltre, nei suoi studi la scrittrice ha cercato di comprendere gli elementi di ciascuna cultura nella costruzione del movimento femminista: «È, in sostanza, necessario che il tabù epistemico (relativo al sapere) della universalità del pensiero femminista considerato adatto e necessario per tutte le donne – sperimentato, vissuto e pensato in una specifica regione ideologica del mondo – venga scardinato con la ricerca di una epistemologia (teoria della conoscenza) femminista decolonizzata». (v. Rebecca Rovoletto)